Una grande villa isolata nel verde toscano spezzato dall’azzurro accecante di una piscina. Intorno, alberi, siepi, ordinati cespugli, un sentiero che conduce al fiume e, poco oltre, in cima a un’altura, le rovine di un teatro romano. Su questa scena di nobile semplicità e quieta grandezza irrompono con rumore stridente di acciaio il regista Teresio e i suoi attori dai corpi perennemente lucidi e sorvegliati, dai sorrisi porcellanati, dagli occhiali scuri che intercettano i raggi del sole di agosto. Devono girare un film nella villa, ma il loro intento programmatico – la loro
mission – è più insidioso: mostrare a Sandra, la padrona di casa, la fine della sua epoca e della sua cultura, farla rinascere, battezzarla figlia dell’Oggi.
Più i giorni passano, nella casa polverosa, rovente, più le maglie del gioco di Teresio – cui non si può nemmeno riconoscere l’attenuante della spietatezza, non avendo mai saputo cosa sia la pietà – si stringono intorno a Sandra, vittima delle angherie spesso inconsapevoli degli attori, figuranti di una messinscena che si sostituisce gradualmente alla realtà, deformata dall’onnipresente obiettivo di Teresio, che registra ogni cosa, e ogni cosa racconta registrandola: il mondo, senza un supporto digitale, non esiste. In questo meccanismo apparentemente infallibile, però, qualcosa si inceppa: la vita scarta, oppone una resistenza liquida e imprendibile ai tentativi del gruppo di ridurla ai minimi termini. E l’unico esito possibile è il disastro.
Plastica trasparente, metallo abbagliante, la velocità dirompente dei proiettili e l’amniotica inevitabilità delle cellule: l’estetica di Teresio e dei suoi attori, cioè la loro etica, poggia su queste fondamenta, e su queste Paolo Sortino – fra gli scrittori italiani con temporanei più significativi e riconoscibili – costruisce una struttura romanzesca che l’unità di luogo e tempo propria della tragedia classica trasforma in una trappola asfissiante: prigioniero nella villa insieme a Sandra e allo stesso tempo complice riluttante dei suoi aguzzini, il lettore trattiene il fiato, in attesa – come dopo un tuffo – della boccata d’aria che libera i polmoni. Ma è una liberazione impossibile: nel mondo sottovuoto di Teresio e dei suoi giovani
liberal non c’è aria.
Paolo Sortino
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