Edgar Allan Poe ha fatto della simulazione e dissimulazione, della fantasia disinibita, dell’immaginazione folleggiante la chiave di volta della sua opera letteraria. E se egli amava così tanto nascondersi e camuffarsi, nei saggi non meno che nei racconti, mille sono le maschere dietro cui si cela in queste Lettere, vera e propria autobiografia dell’ombra, nonché strumento d’elezione per capire la scaturigine psicologica degli incubi nella cui creazione egli si impegnava febbrilmente, cristallizzandoli in opere indelebili come Il pozzo e il pendolo, Il crollo della Casa Usher o Le avventure di Gordon Pym.
Prima di Stephen King; prima del fosco profeta del terrore contemporaneo, Thomas Ligotti; e prima ancora del rivoluzionario maestro dell’orrore cosmico, H.P. Lovecraft, il solitario sognatore di Baltimora aveva raccolta l’eredità della letteratura gotica inglese e vi aveva iniettato nuova linfa, la medesima che scorreva nelle vene violente della neonata America. Come dimostrano queste Lettere – che per la prima volta il Saggiatore offre al pubblico italiano in edizione integrale, con la cura di Barbara Lanati –, Poe prese su di sé un compito vertiginoso, da novello Omero: il compito di dare alla sua nazione senza ancora ruolo nel mondo un corpus mitologico.
Ma i frutti strani e veleniferi della sua fantasia hanno attecchito ben oltre i confini degli Stati Uniti, e i sintomi di questo influsso sono ancora ben visibili nel riuso che la letteratura posteriore – e poi le arte visive, il teatro, il cinema – ha fatto dei suoi topoi, e forse, più ancora, nella sua peculiare sensibilità di uomo e di artista, i cui scritti e la cui vita sono fra le più tragiche testimonianze della tensione romantica dell’uomo verso l’assoluto. Opere al nero che parlano a noi contemporanei con la voce irresistibile dei classici.
Edgar Allan Poe è nato a Boston nel 1809 e morto a Baltimora nel 1849.
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