Poche opere, nell’ultimo quarto di secolo, sono riuscite a raggiungere il cuore dell’esperienza contemporanea meglio della Crisi della modernità. Quella di David Harvey è una storia sociale e semantica – dall’Età dei lumi a oggi – del modernismo, del modo in cui si è espresso nelle idee, nei movimenti politici, nella letteratura, nell’architettura; e della sua crisi. Che cosa significa dunque «postmodernismo»? Al centro della riflessione di Harvey si trova la «compressione spazio-temporale» che dagli anni settanta caratterizza la realtà occidentale, con il passaggio dal modello di produzione fordista all’«accumulazione flessibile» e all’internazionalizzazione della finanza tipiche del tardo capitalismo. Le trasformazioni dei processi economici si accompagnano a una diversa stratificazione sociale e a una diversa percezione del mondo e del divenire storico. Una nuova sensibilità culturale, di cui Harvey indaga le manifestazioni nella progettazione urbana, nel consumo di massa, nel cinema, nelle arti figurative. La logica di fondo del capitalismo, però, resta immutata: ecco perché non si può parlare di nuova epoca, né di cambio di paradigma. L’effimero mostra le sue radici in questo libro che è già un classico della teoria della cultura, apprezzato in tutto il mondo tanto per la profondità interdisciplinare dell’analisi quanto per l’intensità e il nitore dello stile.
David Harvey, Distinguished Professor di antropologia al Graduate Center presso la City University of New York, ha insegnato a Oxford e alla Johns Hopkins University. Tra le sue opere Giustizia sociale e città (Feltrinelli, 1978). Per il Saggiatore ha pubblicato nel 1993 La crisi della modernità (dal 2002 in Net), nel 1998 L'esperienza urbana e nel 2006 La guerra perpetua.
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