Chase ha venticinque anni, tre placche di acciaio nel cranio e si fa di Vicodin per non sentire quel fi schio perenne nelle orecchie. Vive a Summerlin, Las Vegas, in una suite del Versailles Palace Hotel insieme a Michelle, cocainomane e da sempre in vendita; con loro, un gruppo di ragazzine che dalle pagine di MySpace cercano uomini pronti a pagarle e si stordiscono di droghe per essere più disinibite. Chase lavorava per Bailey, piccolo boss della prostituzione, consegnava le ragazze ai clienti: aveva bisogno di soldi per comprarsi l’illusione di una nuova vita, aveva bisogno di rimanere accanto a Michelle, troppo sballata, troppo bella e innamorata di lui da quando erano piccoli. Tutto questo prima delle placche nel cranio. Tre ragazzi cresciuti insieme nei villaggi artificiali del deserto americano, tra afa e sogni infranti, feste e coca, sesso e insegne luminose: Chase, Michelle e Bailey, legati dalla memoria di una tragedia e dalla consapevolezza di essere tutti colpevoli, sono personaggi che sopravvivono in un’inedia di azione e sentimento, in attesa, forse, della giusta punizione. Il ragazzo delle consegne è un esordio letterario portato al grande pubblico da Bret Easton Ellis, scoperto negli anni ottanta dal suo insegnante di scrittura creativa, Joe McGinniss, padre di Joe Jr.: un passaggio di consegne tra generazioni che continuano impietosamente a guardare al cuore di un’America consumata e consumistica. Una storia di non amore dove i grandi spazi degli alberghi fagocitano ogni senso etico e l’innocenza è ormai un anacronismo. E la fine è, inevitabilmente, l’unico punto da cui si può cominciare a raccontare.
Joe McGinniss Jr. (1970) vive a Washington con la moglie e il figlio. Laureatosi allo Swarthmore College, ha lavorato per Willie Brown, il primo sindaco afroamericano di San Francisco, come consulente nella stesura di progetti dedicati al recupero dei giovani a rischio. Giovani ritratti anche nel Ragazzo delle consegne, il suo primo romanzo, in cui «il complesso santa- puttana è descritto come solo raramente accade» (Ed Park, The New York Times).
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