Il cielo è grigio, Milano è immersa nella nebbia. Si sente lo sferragliare dei tram, il fischio dei treni in partenza e il brulichio di una moltitudine che va a passo spedito: la città è densa e preme. Ogni giorno la periferia si svuota e ogni giorno uno sciame di persone si muove verso il centro fremente di attività. Fra loro c’è Carla Dondi, «di anni / diciassette primo impiego stenodattilo / all’ombra del Duomo». Ragazza che sgomita nella società degli adulti, ma questa le rimanda indietro i colpi: le molestie dei superiori, le ambiguità e le contraddizioni di un tempo che corre troppo in fretta verso i radiosi futuri lasciando dietro di sé detriti umani e materiali.
La periferia di Carla ospita le storie di tanta altra gente come lei, gente di case popolari che il miracolo economico lo legge sui giornali, che il progresso lo insegue in treno o in bicicletta ma non sa bene cosa sia poi veramente, il primo caffè ancora in corpo prima del turno in fabbrica o in ufficio. Forse è quella gru, quel torracchione di vetro appena innalzato, in cui si specchia un «cielo d’acciaio che non finge / Eden e non conosce smarrimenti».
La voce di Pagliarani segue le vicende di Carla e le registra rarefatta, metallica, atona. Il poeta sonda ogni possibilità della lingua, ogni sua declinazione colta, ogni sua discesa popolare, aprendosi a un immaginario linguistico apparentemente illimitato: La ragazza Carla «è straordinario poema polifonico», come scrive Aldo Nove nella prefazione. Canto di un’esperienza individuale e controcanto, molto più ampio, di un’Italia che sta per vivere una crescita economica e sociale senza precedenti, che lascia alla poesia, all’arte, il compito di svelarne le storture.
Prefazione di Aldo Nove