C’è stato un tempo in cui eravamo uomini degni. Nella mente di Ahmed Maher riecheggiano le parole pronunciate dal padre quando lui era bambino, ora che è un capo rivoluzionario, ora che il mondo arabo è in fermento, ora che la Storia sembra chiamare i giovani a combattere le tirannie. Anche noi, in Egitto, possiamo farcela, pensa Ahmed Maher, così com’è successo in Tunisia dopo il martirio di Mohamed Bouazizi. Riconquistiamo onore e libertà, subito.
Tanti altri, al Cairo, la pensano come lui. Sono Khaled el Sayed, Abdul Rahman Samir, Sally Toma, Zyad el Alaymi, Islam Lutfi... Studenti, esperti informatici, avvocati. Membri di gruppi politici e religiosi differenti, uniti nella stessa causa: formare un fronte di resistenza attiva contro il governo di Hosni Mubarak, presidente-monarca in carica da trent’anni.
Sono la prima generazione «social». Comunicano tramite Twitter, postano su YouTube i video degli scontri, si danno appuntamento dalle pagine Facebook in luoghi segreti della città, formano cortei di protesta che confluiscono in un’unica «marea vibrante» nel centro nevralgico di piazza Tahrir.
Nasce così, tra il 25 gennaio e l’11 febbraio 2011, quella rivolta che in breve tempo, «il tempo che impiega un’idea a diventare un sentimento», porterà alla deposizione di Mubarak. Insieme ai giovani shebab, animati dalla stessa fierezza, ci sono professionisti, medici, docenti universitari, giornalisti, madri, padri, intere famiglie, migliaia di voci unite in un unico, inarrestabile grido: «Chi vuole cambiare venga a Tahrir!».
Prefazione di Gad Lerner
Imma Vitelli ha vissuto nove anni in Medio Oriente tra Beirut e Il Cairo, inviata di guerra per Vanity Fair nei maggiori fronti internazionali, dall’Iraq all’Iran, dall’Afghanistan al Pakistan, dal Congo alla Somalia. Cura una rubrica mensile su Marie Claire. Quando non è on the road, vive a Roma.
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