Il miracolo è un racconto in versi, una meditazione che interroga il rapporto tra fede e dubbio, corpo e parola, memoria e silenzio. In questa raccolta Kaveh Akbar esplora la tensione che lega il sacro e l’umano, lasciando scivolare all’interno di ogni poesia frammenti di vita quotidiana e ritualità antiche, e cucendo ogni verso attorno a gesti semplici e universali come inginocchiarsi, respirare, ricordare.
In una moschea deserta, la voce del muezzin rimbomba tra le mura vuote come un richiamo senza destinatario. Un uomo recita una preghiera con il fiato sospeso, mentre il ricordo di un padre severo si sovrappone alle parole della fede. La lingua è carne e suono, e nel mormorarla si intrecciano amore, rimpianto e incomprensione: le parole scelte da Akbar sono immagini sospese – il rintocco di una campana che vibra nell’aria, un tappeto steso per la preghiera – che si trasformano sulla pagina nei simboli concreti di un dialogo che non smette di risuonare in chi sa ascoltare. Come l’arcangelo Gabriele, che ordina di leggere nel vuoto, Akbar ci invita allora a scrutare nel respiro spezzato di coloro che ogni giorno indagano la vita sperando di trovarvi un senso, per scorgere in esso una bellezza impossibile.
Il miracolo è il frutto di una ricerca poetica che riflette sulla possibilità della meraviglia in un mondo ferito ma ancora in attesa di redenzione. La sacralità, qui, non è qualcosa di intangibile, ma si manifesta nelle imperfezioni della vita e nella resistenza dei corpi, nella forza di chi cade e si rialza, con la voce piena di crepe, ma ancora capace di cantare.
Traduzione di Mia Lecomte e Andrea Sirotti
Kaveh Akbar (Teheran, 1989), poeta e romanziere iraniano-statunitense, è direttore del corso di Scrittura creativa dell’Università dell’Iowa e responsabile delle pagine di poesia della rivista The Nation. Ha pubblicato la raccolta di poesie Calling a Wolf a Wolf (2017) e il romanzo Martire! (2024), e ha curato la raccolta The Penguin Book of Spiritual Verse (2023). Le sue poesie sono apparse su diverse testate, tra cui The New Yorker, The New York Times e The Paris Review.
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