È il 1933. Camille Galay, venticinque anni, arriva a Parigi. Ha lasciato Brooklyn, dove è cresciuta, e l’Alabama, dove ha fotografato i volti segnati dalla Grande depressione. È irrequieta. Non le basta essere la ricca erede del più grande biscottificio di Parigi per dare un senso alla propria vita. Non le basta nemmeno calarsi nei panni di un’operaia. Ha bisogno di scoprire le proprie radici, di ritrovare quel passato per cui la madre Gabrielle ha lottato tanto, l’amore fra i suoi genitori che l’orrore della Grande guerra ha quasi spazzato via. Ha bisogno dell’amicizia di Magda, della purezza e della solennità dei legami che si stringono da bambini. Ha bisogno di guardare al presente. Di nuovi incontri per realizzarsi, per comprendere il tempo in cui vive. Attorno a lei l’Europa freme. In preda a un’euforia alcolica, corre verso un nuovo conflitto mondiale. Ma c’è chi decide di non chiudere gli occhi.
Chi alla follia nazista si oppone con intelligenza e umanità. Elise, libraia indipendente e cauta, Grete, attrice di cabaret e spietata osservatrice di una Germania accecata dalla gloria, Louvain, agente segreto con un’affascinante cicatrice sul labbro: le loro storie s’intrecciano a quella di Camille, coinvolti nella liberazione dell’unico ebreo che le nazioni si contendono, l’uomo che sta mettendo a punto la formula dell’acqua pesante, componente indispensabile per una nuova micidiale arma nucleare. Anne-Marie Garat ascolta i pensieri di ogni
protagonista, ne misura le pulsazioni, affronta demoni, accoglie paure e speranze. Usa la penna come un bulino, cesella le parole e, raffinatissima, racconta le storture e i tormenti di un’epoca, il turbine della pazzia che sta per annientare la dignità delle persone.
Anne-Marie Garat
Anne-Marie Garat (Bordeaux 1946), autrice di più di quindici romanzi, ha raggiunto il successo proprio con Il quaderno ungherese (Dans la main du diable, Actes Sud, Paris 2006). L’autrice è anche presidente della Maison des écrivains et de la littérature.
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