Scrivere un film, proprio come girarlo, è frutto di un lavoro corale in cui l’ascolto delle voci è fondamentale. Dal soggetto al trattamento, dal trattamento alla sceneggiatura, bisogna ascoltare e prendere spunto da continui stimoli esterni: una semplice chiacchierata, una favola di Fedro, la celebre battuta finale di A qualcuno piace caldo. In questa filiera le immagini fanno quasi da cornice: compaiono all’inizio, nella mente degli autori, e alla fine, sulla pellicola, seguendo un tracciato di parole scritte in cui il cinema dialoga con il teatro, la poesia e la letteratura.
È questa la via percorsa da Age, uno dei più noti sceneggiatori del cinema italiano, il quale si immagina come un artigiano capace e invisibile che identifica e risolve i problemi della costruzione di una buona sceneggiatura e che fornisce, grazie a un’esperienza pluridecennale, preziosi suggerimenti e saldi punti d’appoggio per l’aspirante sceneggiatore: regole da manuale fissate a modello, anche e soprattutto per essere riscritte o rovesciate. Ideare un buon incipit, rendere esplicito un antefatto, tenere viva la suspense, costruire un dialogo serrato e credibile: sono ostacoli nei quali, quando si scrive un film, è impossibile non incappare, ma che vengono superati da Age con la dimestichezza del veterano; problemi risolti con la medesima vivacità, ironia e immediatezza dei suoi dialoghi.
Scriviamo un film – un classico della letteratura cinematografica che sa ammaliare il lettore allo stesso modo dello spettatore in sala – ci porta dietro la macchina da presa, dall’origine concettuale del film fino al progetto che muove la regia, svelando un lavoro troppo spesso sconosciuto, nel quale è essenziale immaginare, anticipare e rispettare il futuro spettatore per creare i grandi capolavori di domani.
«Un film è un’opera collettiva, avida di apporti e contributi diversi, a volte anche in conflitto tra loro.
La sceneggiatura è uno di questi contributi. Il decisivo.»