Sono i primi anni dell’Ottocento, quando il giovane copista di musica del teatro Carcano di Milano, Giovanni Ricordi, cerca di difendere il proprio lavoro acquisendo la proprietà dei libri di musica da lui trascritta. È copista, ma anche musicista, conosce bene la differenza fra spartiti buttati giù a memoria e trascrizioni fedeli. La disparità è palese all’ascolto: le sue edizioni devono diventare il riferimento per qualsiasi esecuzione. Man mano che l’attività cresce, l’interesse di Giovanni si sposta dagli spartiti alle opere e alla loro messa in scena, la sua volontà è quella di farsi garante dell’accuratezza delle loro esecuzioni e della proprietà intellettuale della musica. Sono Bellini e Donizetti i suoi primi compagni di viaggio, con loro, forte di loro, si batte perché venga riconosciuto il diritto di autore. Crea un nuovo ruolo, quello di editore-mediatore, e avvia il processo di metamorfosi della scena musicale e di «istituzione» dell’arte. Tra il 1830 e il 1870 l’opera italiana si trasforma profondamente. Cambiano i suoi protagonisti, le intenzioni compositive, il sistema di produzione e di fruizione, il suo significato sociale e culturale. La musica incontra l’industria editoriale, l’opera conosce una nuova stagione di successo internazionale e cerca nuovi modi per garantire le proprie economie.
È il salto verso la modernità, un passaggio che lascia in eredità il repertorio operistico più rilevante della storia, nucleo riconosciuto di un patrimonio culturale che plasma l’ideologia del Risorgimento. I traghettatori sono Giulio Ricordi e Giuseppe Verdi. La loro è una simbiosi. Ricordi ha bisogno del genio di Verdi, Verdi ha bisogno dell’industria di Giulio, insieme diventano grandi. A loro si affiancheranno Puccini e il figlio di Giulio. Tito Ricordi è l’uomo del Novecento: ingegnere, attratto dalla possibilità di riprodurre tecnologicamente la musica ma insofferente ai doveri che la gestione di una grande azienda richiede, a lui spetta la fase discendente della parabola di Casa Ricordi. È un’avventura artistica, imprenditoriale, filosofica, giuridica quella della musica nell’Ottocento. È un racconto che chiede di essere ascoltato più volte. Al centro di questo racconto ci sono una città, Milano, e un piccolissimo gruppo di musicisti, poeti, editori e avvocati che inventano e realizzano il cambiamento, collaborando e scontrandosi, calcolando e sognando, tra affetti e disprezzo, doni e tribunali, e tracciano una storia esemplare di come un sistema artistico cambia, fiorisce e poi entra in crisi.
Stefano Baia Curioni (Milano, 1956), storico dell’economia, è vicepresidente del centro di ricerca ASK (Art, Science, Knowledge) e direttore del corso di laurea specialistica di Economia per le arti, la cultura, i media e l’entertainment dell’Università Bocconi di Milano. Dedica la sua ricerca alla comprensione dei processi di trasformazione dei sistemi di produzione artistica moderna e contemporanea.
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