La notte fra il 4 e il 5 giugno del 1968 il senatore
dello stato di New York Robert F. Kennedy fu
colpito a morte nel corridoio delle cucine dell’Hotel
Ambassador a Los Angeles. Aveva appena concluso
il discorso di ringraziamento per la vittoria
delle primarie in California. Era a pochi passi dall’elezione
alla presidenza degli Stati Uniti.
La parola chiave della sua campagna era stata
Hope, speranza. Per curare le ferite di un’America
afflitta da tre anni di guerra in Vietnam, da discriminazioni
e scontri razziali, da una povertà estrema
tenuta nascosta. Speranza in una nuova guida morale
per tutto il pianeta.
Attorno a Bob Kennedy si erano strette le minoranze
etniche e le categorie sociali più povere:
chicanos, nativi americani, coltivatori del delta
del Mississippi… Per gli afroamericani era la promessa
del riscatto. A loro, due mesi prima della
morte, si era rivolto con queste parole: «Ho delle
notizie molto tristi per tutti voi e ritengo lo siano
anche per tutti i nostri concittadini e per la gente
che ama la pace in tutto il mondo. Devo dirvi che
questa sera a Memphis, nel Tennessee, qualcuno
ha sparato a Martin Luther King e lo ha ucciso».
Che cosa aveva fatto Kennedy negli ottanta due
giorni della sua campagna elettorale? Chi era l’uomo
a cui l’America guardava con speranza? Che cosa
univa quella catena di persone in lutto che, per più
di quattrocento chilometri, accompagnò il treno che
trasportava la sua salma?
Nel rispondere a queste domande, Thurston
Clarke ricostruisce le primarie americane del ’68,
intervista amici, collaboratori, testimoni. Restituisce
la figura di un uomo che in quei giorni diede il
meglio di sé, che fu riconosciuto dagli elettori
come un politico buono e onesto. L’epigono che in
sé racchiudeva i destini del fratello John e di Martin
Luther King.
Thurston Clarke
scopri di più sull'autore