Ci sono saggi che parlano di jazz, romanzi ambientati nel mondo del jazz, raccolte di articoli, analisi musicologiche, biografie di jazzisti. E poi c’è Natura morta con custodia di sax di Geoff Dyer.
Libro unico e inafferrabile, oggetto letterario misterioso che sfugge e resiste a ogni tentativo di incasellarlo in un genere, testo mercuriale e metamorfico che muta a ogni nuova lettura, Natura morta con custodia di sax è un libro sul jazz, sull’influenza che questa musica ha avuto sulla società e la cultura occidentali, sulle vite di alcuni dei musicisti più importanti della storia – Lester Young, Charles Mingus, Thelonious Monk –, vite evocate con tanta vividezza che, secondo Jonathan Lethem, «si può sentire il whisky sulla lingua, l’odore dei mozziconi di sigaretta, i colpi di tosse fra una registrazione e l’altra».
Ma Natura morta con custodia di sax è anche un libro sulla poesia, sulla fotografia, sugli sconfinati spazi americani che un Geoff Dyer giovanissimo attraversa in auto con la fidanzata, ascoltando jazz, solo jazz, mentre guidano sotto un cielo illimitatamente blu. È un libro sulla musica, e su come la musica può cambiare la vita. Sull’arte, sulla bellezza, sulla bellezza imprevedibile della vita. È, soprattutto, un libro sulla scrittura, dove la scrittura si piega fino a diventare puro suono; finché la parola si spoglia della sua rigidità per diventare – in queste pagine che il New Yorker ha definito «notturne rêverie musicali» – gioco, continua allusione, improvvisazione, sogno.
Con una nuova prefazione dell’autore
Traduzione di Riccardo Brazzale e Chiara Carraro
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