Nel 1913, quando il pianeta sta per fare un doppio salto nel vuoto, spinto dalla Grande guerra e dalla Rivoluzione, a San Pietroburgo un gruppo di poeti fa la storia della letteratura russa: rompe i legami con il simbolismo otto-novecentesco e muove verso un realismo autentico, concreto, con la volontà di raggiungere l’acme delle cose, toccarne l’essenza. Di quel gruppo fanno parte Sergej Gorodeckij, Nikolaj Gumilëv, Anna Achmatova e Osip Mandel’štam. Quello stesso anno Mandel’štam dà alle stampe la sua prima raccolta di versi, La pietra. Una poesia fatta di sentimenti primari, oggetti, viandanti, specchi, dita che scivolano sulla superficie terrestre e sulla carne. Versi come pietre levigate, limate con tenacia e sapienza. Un gesto poetico netto, puro, indomabile. Una lingua che si confronta con la natura, la contempla, la ricrea. Un’opera di rigenerazione di cui oggi, a distanza di un secolo, abbiamo un bisogno disperato.
Osip Mandel’štam è nato a Varsavia nel 1891 e morto nel gulag di Vtoraja recka, in Siberia, nel 1938. È stato uno dei più grandi poeti del Novecento.
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