C’è un paese che non c’è. Al centro di una valle nebbiosa, circondato da un bosco dai cui rami scheletrici penzolano cadaveri di impiccati, il paese – un nucleo isolato di case in rovina, una locanda, un bagno pubblico – vive una non-vita immota e immutabile, congelata in un’eterna ripetizione di gesti, riti, culti. L’inverno è lungo, l’estate corta, le gravidanze durano due anni: nemmeno i bambini vogliono nascere, nella valle della Verhovina. Nulla turba questa quiete che non è un letargo; è un coma: gli abitanti – il capo della brigata per il controllo delle acque, Anatol Korkodus; il giovane Adam, uscito dal penitenziario di Monor Gledin per aiutare il brigadiere nelle sue mansioni; la curatrice Nika Karanika, che sa resuscitare i morti; la sarta Aliwanka, che predice il futuro nei fazzoletti inzuppati di lacrime – aspettano; aspettano che in paese arrivi qualcuno, ma non arriva mai nessuno, e quei pochi che arrivano se ne vanno, o scompaiono, o si gettano nelle acque della sorgente numero due, dove tutto ciò che cade «diventa blu, e dopo un po’ di tempo vi si deposita sopra una specie di cristallo blu in aghi appuntiti». Anche gli uccelli sono spariti: sono volati via, un giorno, e non sono più tornati.
Ultimo romanzo di Ádám Bodor, «l’autore più spietato, più crudele della letteratura contemporanea est-europea» nelle parole di László Krasznahorkai, Boscomatto è una successione di tavole bruegeliane in cui le situazioni si ripetono in modo ossessivo, come se i personaggi – lunga teoria di figure sole e disperate, accomunate da un desiderio perennemente frustrato di contatto umano – fossero condannati a replicare senza sosta i gesti di una farsa insensata. Del resto, nella valle della Verhovina non esistono passato, presente e futuro; il filo del tempo è un cappio e ogni vita, congelata nel ghiaccio, è un fossile imperfetto che ci arriva dalla fine dei giorni, alla cui sorte siamo tutti fraterni.
Traduzione di Mariarosaria Sciglitano
Ádám Bodor, nato in Transilvania nel 1936 ed emigrato in Ungheria nel 1982, è uno dei più impor-tanti autori di lingua ungherese. Nel 2003 ha vinto il prestigioso premio Kossuth.
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